Il Dandy, si diceva. “L'eleganza l'ho sempre ritenuta fondamentale e per questo portavo la cravatta. Andavo a nuotare prima della scuola e poi mi conciavo così per andare a lezione”. I soprannomi non si scelgono, ma al giovane Valieri quello che gli danno gli amici non dispiace: in fondo il dandismo è figlio di Oscar Wilde e dell'estetismo, una corrente che rappresenta buona parte della formazione letteraria del dottore.
D’Annunzio, certo. Ma anche Giovanni Papini – “uno stupendo loser” – e Marcel Proust. La Ricerca del Tempo perduto, racconta, “io e il mio migliore amico l’abbiamo letto ad undici anni ed è stata un’esperienza fantastica”. A casa Valieri ci sono migliaia di libri, centinaia di film e di cd.
Raccontare il dottor Valieri non è semplice. La cravatta se ne è andata con la prima figlia: anche per uno che andava a comprarle a Venezia, marca Hugo Boss, conciliare lo stile con i pupi non è semplicissimo. “Con l’età, ho capito che si può essere eleganti anche in tuta”. Da giovane, si sa, si è più rigidi. Se il formalismo se ne è andato, una certa organizzazione degli spazi è rimasta. “Quella – soprattutto quando si opera – è fondamentale: i ferri devono avere un loro posto preciso”. Un po’ come i tre telecomandi appoggiati sulla scrivania, dal più piccolo al più grande. “Sapere dove cercare le cose significa non perdere mai nulla”.
La sua passione per la medicina il dottore non ha mai avuto bisogno di cercarla. È un vizio di famiglia: il padre è dermatologo. “Io però volevo diventare chirurgo. Il bisturi ha fascino, se non ci si fa impressionare dal sangue. Ha il taglio sottile del foglio di carta e sai che, appena esce il primo fiotto, da quel momento sei in gioco”. Bisturi che oggi si coniuga al laser, tecnica innovativa in cui si è specializzato lo studio del dottor Valieri. Se per il paziente questa tecnica è meno invasiva rispetto alla chirurgia classica, l’orecchio neofita si stupisce nello scoprire che il laser è più difficile da maneggiare “È come avere in mano una pistola – spiega Valieri -: bisogna prendere la mira e calibrare il colpo, aggredendo la parte malata e solo quella. Per questo è importante l’impugnatura e la forma dello strumento. Io me ne sono fatti sagomare alcuni su misura, per me è l’equivalente delle scarpe del calciatore. Il bisturi invece è come un pennello per il pittore. Più dolce, più artistico se vogliamo”. Ma non è la lama ad aver convinto il giovane Dottor Dandy verso la professione. “Lo specchio di Clar, senza dubbio, mi ha sempre affascinato molto”. Chiunque sia andato dall’otorino l’avrà visto: è quella specie di strumento da speleologo che il medico si mette in fronte per esplorare naso e gola. “Questo aggeggio sin da bambino mi piaceva tantissimo. Mi sembrava di esplorare l’ignoto”.
Valieri racconta che il fatto di scegliere la vita del medico sia, in fondo, nata dalla passione per la letteratura: il medico come il detective dei libri gialli. “Prova a pensarci: c’è il caso, che è la malattia. Ci sono gli indizi: i sintomi. C’è il colpevole: l’agente patogeno che ha provocato il malessere. E poi naturalmente l’investigatore, che è il dottore e deve unire i puntini per arrestare il colpevole e curare la malattia. La medicina tra tutte è la scienza meno rigida, perché permette una serie di soluzioni che si devono confrontare con problemi e contesti diversi. È letteratura, per me ogni persona è un libro da scrivere”.
Anche per questo quando si entra nello studio medico si è a proprio agio. Parte una colonna sonora, si fanno due chiacchiere e poi ci si opera, fiduciosi di uscire in poco tempo e sani. “Mi è capitato di persone che mi hanno chiesto che musica fosse quella in sottofondo al proprio intervento e spesso ho regalato il cd”. I generi? Aspettatevi di tutto. Mentre parliamo il medico fa partire da due casse professionali e costruite artigianalmente prima gli Ac Dc e poi Vivaldi. In entrambi i casi, sembra di essere ad un concerto. “La musica è una delle mie grandi passioni”. A volte i pazienti sono andati via con un libro, altre con un prezioso gadget perché il ricordo dell’operazione – questa la filosofia alla base dello studio Valieri – non deve essere soltanto quello di una malattia ma del momento in cui due persone sono entrate in contatto e si sono scambiate esperienze e opinioni. “Grazie al mio lavoro ho conosciuto persone incredibili, non le avrei mai raggiunte in altro modo”.
Questa idea del proprio lavoro è anche il motivo che lo ha spinto a lavorare da sempre in libera professione. “Se fossi dipendente dell’Ausl, in ospedale, non riuscirei a concedermi questo modo di approcciarmi alle persone. Nel nostro sistema sanitario, intendiamoci, ci sono dei colleghi bravissimi ma la logica che devono seguire – per forza di cose – è diversa da quella che ci si può concedere quando si ha il proprio studio. Per questo appena uscito dall’Università non ho mai tentato la strada del dipendente ospedaliero”. Scegliere di camminare in salita ha le sue conseguenze: all’inizio si guadagna meno e non è detto che le cose poi vadano meglio, anche se si è fiduciosi per natura. “Come dicevo prima, la scienza è letteratura ma serve il metodo. Una delle regole che mi do nella vita è questa: quando è il momento di lavorare, si fa quello e basta. Non ci si distrae. Ci vuole disciplina, io sono aiutato dalla mia forma mentis, per altri è meno semplice. Però facendo così riesco a godermi di più i miei momenti liberi”. Il problema – “specie per mia moglie”, sorride – è che anche fuori dal lavoro il dottore segue questo concetto. Così capita che, in gita, visiti un borgo dietro l’altro. “Lo faccio solo per mettere la spunta. Mi dico: ‘qui ci sono stato’. Riconosco che, se nel lavoro questo modo di fare è ottimo, nel tempo libero potrebbe non esserlo.
Ma sono fatto così”.
Valieri dice di amare la forma enciclopedica del sapere. Dotato di ottima memoria, alla Pico della Mirandola – “il mio nonno stalinista mi obbligava a ripetere 15 righe de L’Unità alla volta…” – da cui deriva anche una certa voglia di catalogare. Un esempio? Da sempre, tiene da parte i biglietti del cinema. Lo fate anche voi? Bene, sappiate che il Doc ha anche una serie di biglietti Siae, quelli anonimi e rosa che davano alle arene estive, con scritto sopra il nome del film. A mano.
Con questa urgenza di catalogare, la casa del medico è forzatamente ordinatissima, ma non si tratta di una di quelle abitazioni fredde che ricordano i cataloghi dei mobilifici. Anzi. Il piccolo studio in cui parliamo è quello riservato agli amici, dove emerge l’anima più nerd del medico. Sotto la tv, dvd di Lupin III e la già citata testa di Jeeg, acquistata usata. L’oggettistica della casa è immensa: gran parte di quanto esposto è stato comprato nei cataloghi delle case d’aste on line. L’unica linea a condurre l’acquisto è l’estetica. Poi, certo, ci sono passioni che emergono. Come quella per la cartografia che si traduce in preziosi mappamondi di cui i due piani dell’abitazione sono ben forniti. Uno, ad esempio, risale all’epoca nazista e mostra il Terzo Reich al massimo della sua espansione. Era il 1942, in piena “Festung Europa” e la Germania bussava alle porte di Stalingrado per esserne poi respinta ed era ormai arrivata fino a Parigi. Il mappamondo, che si trova nel piccolo studio, fotografa la situazione di allora. Un monito, per certi versi.
Sulla scrivania, in una piccola teca, ci sono invece le monete antiche. La numismatica affascina il medico e i pezzi forti sono i sesterzi romani. Passare tra le mani monete che hanno quasi duemila anni ha il suo fascino, un po’ come entrare a San Vitale o guardare la volta stellata di Galla Placidia. Sulle mensole fanno bella mostra di sé, ovviamente, anche tantissimi oggetti legati al suo lavoro: un prezioso microscopio, una delle prime riproduzioni dell’atomo, plastici che raffigurano ottocenteschi organi di roditori. Gli chiedo, ingenuamente, se sono cari. Valieri sorride. “Cari o costosi? Perché caro è un supermercato, questi sono costosi – sì – ma alla fine hanno un valore che va al di là del denaro. Poi certo, chi non ha la passione magari mi dice che spendo centinaia o migliaia di euro per pezzi di plastica”. Mentre passeggia per la sua abitazione, mostrando orgoglioso gli antichi quadri, le preziose scacchiere, si capisce che la medicina sia per Valieri una passione ma anche un mezzo per soddisfare un bisogno inesorabile di conoscere. Una sete trasformata in curiosità che si trasferisce al visitatore della bella casa in centro storico. Passando in questo piccolo museo, viene spontaneo chiedere “e questo cos’è?”. Spettacolari, ad esempio, le xilografie giapponesi sparse un po’ ovunque, ma soprattutto in camera da letto. Pezzi unici perché – spiega il medico – una volta stampate gli autori eliminavano la matrice con una lama affilatissima. “Quanto è diversa quella cultura dalla nostra”, riflette il medico. Occidente, Oriente e tanti mondi si alternano negli scaffali di questa splendida casa dove il professionista vive con la moglie, le due figlie e un gatto, che si nasconde alla vista.
“Il futuro appartiene al dandy. Saranno le persone squisite a governare.”
“La felicità non è avere quello che si desidera, ma desiderare quello che si ha.”
Ha cominciato a sei anni. Da allora, quella passione non l'ha più lasciata. Il dottor Alessandro Valieri è stato vicino a diventare un nuotatore professionista, fino a quando non si è trovato di fronte ad un bivio: la piscina o lo studio. Tutti a due, a certi livelli, non si poteva fare.
Vale però la pena ricordare lo sport che gli ha dato tante soddisfazioni, ricambiando i sacrifici suoi e della madre che dalle tre alle cinque volte a settimana percorreva i 40 chilometri tra Codigoro e Copparo per portarlo in piscina. “In quarta liceo sono arrivato quarto ai nazionali di categoria, nel dorso. Diciamo che da quel momento in poi sarei potuto solo migliorare, ma ho deciso di dedicarmi maggiormente allo studio. Dovevo entrare a Medicina e c’era la maturità da superare. La disciplina sportiva, coltivata per così tanti anni però mi ha fatto crescere molto”. Oggi Valieri nuota ancora: 9-10 chilometri, tre volte a settimana nella piscina di Ravenna. “Non potrei farne a meno, né degli odori né delle sensazioni. Mentre nuoto penso”.
L’attività sportiva è complementare a quella intellettuale e all’altra grande passione per il collezionismo: “Non colleziono per rivendere, non è un investimento. Ogni cosa che compro è un pezzo di me, figlio di una ricerca infinita e minuziosa. Proprio questo è il bello”. Se si dovesse dividere la passione in capitoli, potremmo metterci innanzitutto la xilografia giapponese. “Oggi va di moda ma io ho iniziato nel 2013. Questa sorta di Dylan Dog nipponici mi piacciono tantissimo”. C’è poi tutto quello che riguarda la geografia: “Carte, mappamondi, astrolabi, sestanti. Sono strumenti che ti danno l’idea di conoscere la terra, il cielo e il mare”. Non poteva mancare lo studio tassonomico degli esseri viventi: casa Valieri è ricca di cimeli, soprattutto ottocenteschi, che raccontano il modo in cui gli scienziati di allora studiavano la medicina e non solo. Infine, ovviamente, libri e dischi. Ma tutto è figlio di sudore e guadagno, da sempre: “I genitori all’Università mi davano, come tutti, la paga settimanale con cui dovevo arrivare al sabato. Devo ammetterlo: la spendevo tutta in cd. Poi andavo a fare il porta pizze per guadagnare quello che mi serviva a viverlo”. Ogni cimelio è un attimo di vita.